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Caregiver Familiare: perché sono le donne a occuparsi dei malati?

Per l’uomo, l’aiuto esterno è un sollievo, la donna invece lo legge come una sorta di critica a se stessa. Chiedere o ricevere aiuto si traduce con il non sentirsi capace nelle diverse situazioni, il non essere all’altezza.

Sul tema del Caregiver Familiare, l’8 marzo scorso a Roma, si è tenuto l’incontro dal titolo “Soprattutto Donna! Valore e tutela del Caregiver Familiare”. Si è discusso del ruolo delle donne nella cura dei propri cari.

Caregiver Familiare è chi in famiglia dà assistenza quotidiana ai malati o ai non autosufficienti e si occupa del benessere della famiglia in generale.

Nell’incontro è stata presentata un’indagine dell’istituto IPSOS, dove emerge che il 92% delle donne svolge la funzione di caregiver. Di conseguenza a questo però, la donna – occupandosi di tutti – si occupa meno di se stessa!

L’incontro e stato promosso da Farmindustria in collaborazione con ONDA, Osservatorio nazionale per la salute della donna.

Il contesto socio-culturale italiano

La dottoressa Emanuela Mencaglia, psicologa in Humanitas, sottolinea: «Il ruolo di Caregiver Familiare associato alla donna affonda innanzitutto le proprie radici nel contesto socio-culturale italiano e più in generale sud europeo. In Italia è considerato normale che sia la donna a prendersi cura delle persone care. Si tratta di una questione culturale che si trasforma in questione di genere. La figura della donna è da sempre associata alla maternità, alla cura, alla dedizione per la famiglia e per gli affetti. Un retaggio culturale che persiste».

«Questa aspettativa sociale si trasforma in un dovere sottinteso per la donna, che si sente chiamata a ricoprire questo ruolo. Come se non potesse fare altrimenti. Come se l’assunzione di questo tipo di responsabilità la qualificasse “donna a tutti gli effetti”. Nella sua completezza e integrità» continua la dottoressa Mencaglia.

Ma il tema è al contempo complesso e delicato e concerne diversi aspetti. Il fatto che le donne si prendano a cuore la situazione dei propri cari e se ne facciano carico non può essere solo ricondotto a una questione culturale.

Donne e uomini hanno approcci di cura diversi

«Le donne, in genere, non sono inclini a farsi aiutare, e spesso si vantano della capacità di fare molte cose contemporaneamente» afferma la dottoressa Mencaglia.

Studi sociologici condotti nei primi anni del 2000, hanno messo in evidenza come le donne e gli uomini abbiamo approcci di cura diversi.

L’uomo tende a essere problem solver, a concentrarsi sul problema e a trovare la strada per risolverlo. Ciò fa sì che abbia un approccio più pragmatico nella gestione del parente.

La donna invece ha un atteggiamento diverso, più emotivo, e dunque anche il tempo mentale e spirituale che investe è maggiore. Questo ha ripercussioni anche sulla durata della presenza.

Mentre l’uomo percepisce l’aiuto esterno come un sollievo, la donna lo legge come una sorta di critica a se stessa. In molti casi, per la donna ricevere aiuto significa non sentirsi capace nelle diverse situazioni, non essere all’altezza.

Pertanto le donne tendono a non chiedere aiuto, a concentrare tutto su di sé affidandosi solo alle proprie forze, senza rinunciare a nulla. Per cui, all’impegno quotidiano (professionale, familiare e personale) si aggiunge un eventuale carico come quello richiesto a chi ha un figlio o un parente ammalato da accudire, un familiare che sta seguendo un ciclo di cure particolari, etc.

Ma i tempi stanno cambiando…

«Occorre però sottolineare che questo trend sta cambiando e che sono in crescita gli uomini che condividono con le proprie compagne o con i propri familiari la gestione della quotidianità, ma affinché il cambiamento passi dall’essere reale a essere anche culturale ci vuole tempo», ha concluso la dottoressa Mencaglia.

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