"Parkinson: nessuno ci ha detto cosa poteva accadere"

“Parkinson: nessuno ci ha detto cosa poteva accadere”

“Mio padre ha ricevuto la diagnosi di malattia di Parkinson all’età di 54 anni, in età lavorativa. La ragione per cui sono qui a scrivere è che nessuno ha mai detto a me e alla mia famiglia ciò che poteva accadere e, sì, sono molto arrabbiata per questo. Quando cerchi e non trovi una spiegazione cominci a pensare di non potercela fare, che sia un problema personale tuo, ti senti senza speranza, impotente, solo”.

(di Viola Nicolucci)
Per favore, nel leggere le mie parole, ricorda che si tratta della mia esperienza personale con la Malattia di Parkinson, cominciata nel 1994. Internet non era così diffuso come oggi e io abito in una landa desolata dove non ci sono servizi di sostegno psicologico per pazienti e caregivers.

Per anni mi sono chiesta: “la devo raccontare questa storia?”.

Le terapie cambiano, migliorano, ci sono nuovi farmaci e ogni paziente ha la sua storia di malattia e sintomi differenti.

La ragione per cui sono qui a scrivere è che nessuno ha mai detto a me e alla mia famiglia ciò che poteva accadere… e, sì, sono molto arrabbiata per questo. Quando cerchi e non trovi una spiegazione cominci a pensare di non potercela fare, che sia un problema personale tuo.

Ti senti senza speranza, impotente, solo.

Mio padre ha ricevuto la diagnosi di MP all’età di 54 anni, in età lavorativa. Aveva notato alcuni cambiamenti nelle sue condizioni fisiche: era affaticabile e aveva molti dolori muscolari. Il medico di base consigliò una visita neurologica, durante cui lo specialista notò la camminata tipica dei malati di Parkinson senza dondolare le braccia e micrografia: la firma di mio papà si era rimpicciolita. La diagnosi era fatta.

Ma la nostra famiglia non sospettava nulla di serio, così lui andò alla visita da solo e al termine gli fu comunicato che soffriva di Parkinson e che aveva un’aspettativa di vita di altri 15-20 anni.

Tutto ciò accadde nel Febbraio 1994, certi ricordi restano indelebili per il resto della vita. Chiaramente fu uno shock per tutti: per mio padre, i miei genitori come coppia, me e mio fratello. Il momento in cui si riceve la diagnosi di una malattia cronica si riceve uno shock. Se si è stati in salute sino a quel momento, si prova la sensazione di perdere la propria identità di persona sana. La propria condizione ideale da “sani” viene contaminata dalla malattia. Ci si sente di passare da sani a malati, ma è chiaro che una persona anche se malata non è solamente identificata dalla sua malattia.

Mio padre è stato bene per molto tempo, oggi ha sulle spalle più di 20 anni di malattia. Le sue condizioni hanno cominciato a peggiorare alcuni anni fa. Ha avuto per lungo tempo disturbi del sonno, tanto che i miei genitori hanno deciso di dormire in stanze separate. Aveva spesso incubi terribili con agitazione psicomotoria notturna e urla, svegliando mia madre nel terrore.

Non riesco a tradurre le emozioni in parole al pensiero del momento in cui sono passata da figlia al dover prendere decisioni e responsabilità per mio padre.

Questo è ciò che è successo quando, ad esempio, ero seduta come passeggero in auto mentre lui era alla guida. Mi accorsi che non riusciva a tenere la strada e a rimanere dentro la corsia. Col cuore che esplodeva e braccia e gambe tremanti, gli ho chiesto di fermare la macchina: mi era chiaro che non potesse più guidare in condizioni di sicurezza. Di tanto in tanto cominciò a cadere, ma rifiuta il tripode ancora oggi.

L’anno successivo all’improvviso l’agitazione notturna peggiorò. Allucinazioni e deliri aumentarono, lasciandolo esausto al mattino e con lui mia madre, che aveva tentato di rassicurarlo tutta la notte.

È emotivamente devastante anche per chi sta accanto al malato vedere un proprio caro perdere la lucidità mentale. Servivano nuove medicine, che peggiorarono drasticamente la sua rigidità muscolare. In un paio di giorni prenotai e ritirai la sedia a rotelle. Ricordo com’ero contenta sollevando e tirando la sedia a rotelle fuori dall’auto – per rimanere poi bloccata con la schiena nei giorni successivi – e al tempo stesso pensare “ma sarò stronza a essere contenta che ora con la sedia a rotelle si può muovere?”.

Infine, voglio citare il “punding”, un comportamento non molto conosciuto che si caratterizza per l’attrazione compulsiva verso azioni ripetitive e meccaniche, come assemblare e smontare elettrodomestici. Questo è personalmente il sintomo più estenuante con cui ha a che fare la mia famiglia negli ultimi anni.

Viola Nicolucci
(Psicologa e Psicoterapeuta)


Nella foto in alto: Viola da piccola con il suo papà


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