dopamina

Percezione del tempo, dopamina e Parkinson

La “sostanza nera” è il centro nervoso situato nel cervello che produce dopamina il cui malfunzionamento causa la malattia di Parkinson. I neuroni della “sostanza nera” sarebbero responsabili della percezione soggettiva dello scorrere del tempo e della durata degli eventi della vita.

È quanto afferma uno studio sulla dopamina pubblicato sulla rivista “Science” e condotto sui topi da un gruppo di ricercatori del Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona, in Portogallo.

PERCHÉ IL TEMPO VOLA QUANDO CI DIVERTIAMO?

Sappiamo tutti che il tempo può dilatarsi e contrarsi a seconda dell’esperienza che si sta vivendo. Un evento piacevole, ad esempio, può apparirci breve mentre un evento triste o noioso della stessa durata può sembrarci infinito.

Oltre alla valenza positiva o negativa dell’esperienza in corso, altri fattori influenzano la percezione e la valutazione soggettive del tempo. Per esempio il grado di motivazione, l’attenzione, un cambio di stimolazione sensoriale, la novità dell’esperienza e lo stato emotivo.

Numerosi disturbi neuropsichiatrici possono influenzare la capacità di valutare la durata degli eventi e distorcere la percezione del tempo.

Come nella schizofrenia, nel disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione, il famigerato ADHD e nella malattia di Parkinson.

Proprio i neuroni dopaminergici della “sostanza nera” (o ‘Substantia Nigra’), una regione profonda del cervello che si ammala e degenera per prima nel Parkinson, sembrano essere coinvolti nella scansione degli eventi temporali e nella percezione soggettiva del tempo che scorre.

ALTERARE LA PERCEZIONE DEL TEMPO STIMOLANDO LA “SOSTANZA NERA”

«I dati raccolti finora sul ruolo dei neuroni dopaminergici della “sostanza nera” nella percezione del tempo» spiega Sofia Soares nell’introdurre lo studio di cui è prima firma «non sono per nulla chiari a causa di alcune limitazioni tecniche degli esperimenti condotti».

I ricercatori portoghesi hanno utilizzato l’optogenetica, la più avanzata delle tecniche di indagine neuroscientifica nell’animale. Questa tecnica permette di attivare o disattivare singoli gruppi di neuroni, combinata a test comportamentali nel topo.

«In particolare – continua a spiegare Sofia Soares – tramite l’optogenetica abbiamo acceso o spento i neuroni dopaminergici della “sostanza nera”. I topi dovevano riconoscere se l’intervallo di tempo trascorso tra due suoni fosse lungo o breve. Se il riconoscimento era corretto, i topi ricevevano una ricompensa».

«In primo luogo abbiamo dimostrato che i neuroni dopaminergici della sostanza nera – evidenzia Sofia Soares – si attivano in corrispondenza del secondo suono, segnando il ritmo degli eventi che avvengono nel mondo esterno».

La vera scoperta dei ricercatori portoghesi, però, riguarda la possibilità di distorcere artificialmente la percezione del tempo.

«Infatti – commenta ancora Sofia Soares – accendendo i neuroni della sostanza nera i topi percepivano una dilatazione dell’intervallo di tempo tra i due suoni. Spegnendoli, invece, abbiamo ottenuto una percezione più ravvicinata dei due suoni, sebbene l’intervallo di tempo non fosse cambiato. Quindi, nel primo caso i topi ricevevano la ricompensa prima del previsto mentre nel secondo la ricevevano più tardi».

Le basi neurobiologiche della percezione del tempo

La scoperta è di fondamentale importanza per la comprensione delle basi neurobiologiche della percezione del tempo.

La dopamina viene rilasciata in maggior misura quando siamo motivati o le circostanze sono piacevoli, dunque, quando siamo ricompensati emotivamente dagli eventi esterni.

«La sensazione di tempo che vola quando proviamo piacere – conclude Sofia Soares – deriva da una complessa interazione tra tempistica del rilascio della dopamina e sovrastima del momento della ricompensa che avviene prima del previsto dandoci la sensazione che il tempo sia trascorso più in fretta».

Infine, lo studio potrebbe fornire preziosi indizi sui deficit nella percezione del tempo nei pazienti con Parkinson. Deficit che causano anomalie dell’integrazione tra informazioni sensoriali e comandi motori.

(Leggi l’articolo originale su “Science”)