La sessualità nella malattia di Parkinson

La sessualità nella malattia di Parkinson

Se ne parla poco, se non pochissimo. Entra raramente nelle conversazioni tra curante e paziente. Al punto che la stessa letteratura scientifica sull’argomento è piuttosto scarsa.

Eppure, la sessualità nella malattia di Parkinson è un problema concreto. E non di poco conto per i malati di Parkinson e i loro partner. Parliamo dell’intimità di queste persone, della loro sessualità, del desiderio che la malattia può attenuare, forse, ma di sicuro non spegne.

Lo hanno affrontato nel novembre scorso, presso la sede della Fondazione Zoé a Vicenza, tre esperti di patologie neurologiche:

  • Luigi Bartolomei, responsabile dell’Unità operativa semplice di neurofisiologia medica e chirurgica dell’ospedale San Bortolo di Vicenza.
  • Giampietro Nordera, direttore del dipartimento di neuroscienze alla casa di cura Villa Margherita di Arcugnano.
  • Manuela Pilleri, responsabile della neurologia alla casa di cura Villa Margherita.

L’incontro è avvenuto in conclusione dell’edizione 2017 della rassegna “Vivere sani, Vivere bene”, dedicato alla “Mente in salute”.

La sessualità nella malattia di Parkinson

«Quello della sessualità nella malattia di Parkinson è un problema. La sessualità è una delle componenti della qualità della vita, intesa anche come la sfera più ampia dell’affettività. Non avere una buona vita sessuale o affettiva è un disagio per chiunque, compresi i malati di Parkinson» afferma il dottor Bartolomei.

Però si pensa che, essendo i malati di Parkinson di età spesso avanzata, non sia un aspetto così cruciale.

Ma bisogna considerare che ci sono due popolazioni di pazienti, quelli tra i 45 e i 60 anni, e quelli più anziani. Normalmente, con l’avanzare dell’età c’è una graduale attenuazione del desiderio sessuale, anche se non scompare del tutto. È la conseguenza di cambiamenti fisici, ormonali dovuti appunto all’età.

Ma la malattia in sé su cosa incide?

Dove si registra il declino maggiore intervengono altre patologie, come l’ipertensione. Si tratta in ogni caso di un aspetto, quello della sessualità nel Parkinson, che nella letteratura scientifica medica è stato trattato a partire dagli anni Duemila, non prima. Da quando si sono diffusi i vari farmaci contro l’impotenza c’è stato un fiorire di studi sulla sessualità in età avanzata.

Cosa si è scoperto?

Ci si è occupati soprattutto di coppie anziane, ed è emerso che ciò che conta di più è l’aspetto affettivo. L’intimità intesa come gesti di tenerezza, il farsi le coccole. Nell’età avanzata emerge cioè un peculiare linguaggio della sessualità, in cui l’interesse principale non è l’atto sessuale propriamente detto. Anche il malato di Parkinson è portato a compensare l’aspetto sessuale con l’affettività.

I medici affrontano questi argomenti con i pazienti?

«Raramente. Devo dire che da parte di noi medici c’è un certo atteggiamento di superficialità su questo problema. Siamo portati a parlarne di più con i pazienti giovani, rispetto a quelli più anziani, e più con gli uomini che con le donne. I pazienti stessi non ne parlano volentieri. Ciò non toglie che sia un tema da approfondire» ammette il dottor Bartolomei.

Tale ritrosia dipende dalla situazione socio-culturale dell’Italia?

«No. Anche i colleghi olandesi del dottor Bloem, che è stato ospite della Fondazione Zoé, non parlano di questi temi per la maggior parte. Non è una peculiarità italiana» specifica Bartolomei.

I partner dei malati di Parkinson affrontano il problema?

Può presentarsi una situazione particolare, cioè che la terapia farmacologica accentui comportamenti compulsivi. Ad esempio il gioco d’azzardo, lo shopping eccessivo o una richiesta continua di rapporti sessuali. Con l’aggravante che se il paziente avverte il desiderio, ma non può soddisfarlo a causa dell’impotenza, può andare in depressione e avere scarsa stima di sé.

Cosa si può fare?

«Per affrontare il tema della la sessualità nella malattia di Parkinson, sarebbe di aiuto introdurre la figura del sessuologo nel team. Come nel nostro ambulatorio integrato, che segue il malato di Parkinson. Che ha i suoi diritti, come tutti» conclude il dottor Bartolomei.

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