Storie di Parkinson la fine di una corsa

Una storia di Parkinson tutta di corsa

Mi chiamo Marika, ho quasi 21 anni e voglio raccontarvi una storia. Una storia di “nipoti” di Parkinson.

Questa storia di Parkinson comincia nel 1998 e io ero nata da poco, mia sorella aveva 7 anni e la vita era tranquilla. Abbiamo sempre abitato vicino alla nonna materna, rimasta vedova circa 30 anni prima, ma lei non è mai stata sola. Lei aveva lo zio Carlo.

Lo zio era un muratore di quelli dalla fame inesauribile e con la costante voglia di fare mille cose. Amava i disegni, la geografia, scala quaranta, i viaggi e le corse podistiche. Donava il sangue, faceva beneficienza e aiutava se c’era bisogno. Era una brava persona, uno di quelli che ce l’hanno scritto in faccia…

Qui comincia questa storia di Parkinson

Quell’anno, però, gli cambiò la vita. Nel ’98 mio zio fece una visita neurologica a causa di un tremore alla mano, così comincia la sua storia di Parkinson.

Io, ovviamente, ci ho messo un po’ per capire la situazione di cui facevo inconsapevolmente parte. Per me era normale vederlo tremare, ma era anche normale vederlo sempre in piedi a fare mille cose. Era la quotidianità.

Crescere è stato il mio problema. Più crescevo e più mi accorgevo di come la malattia mi stesse portando via lo zio, pezzo dopo pezzo. Cominciò con le pastiglie che aumentavano di anno in anno, la patente che gli fu tolta, le prime cadute. E il tremore. Non smetteva mai.

Credo fosse tra le cose che odiasse di più di questa patologia; tremare significava non riuscire a disegnare bene e, peggio ancora, a mangiare bene. E lui amava mangiare bene (e, possibilmente, in grandi quantità).

Poi chiesero l’accompagnamento, altra cosa che gli pesava come un macigno. Ma rimaneva forte e determinato. Lui continuava a voler uscire, esplorare, vedere nonostante mia nonna gli facesse una predica un giorno si e l’altro pure. Lui non si è mai arreso e, purtroppo, nemmeno la malattia. Più passava il tempo più cominciava a sparire anche la sua lucidità.

Cominciò ad essere incontrollabile, diventò un pericolo per sé stesso. Anche mia nonna ormai dava di matto a viverci insieme: ci litigava ogni giorno, ma quanto bene si volevano!

Lui ormai era uno straccio…

Si decise di portarlo in una casa di riposo, ci sembrò la scelta migliore. Lavoravamo tutti e se fosse caduto a terra, mia nonna non sarebbe riuscita a tirarlo su da sola. Lui ormai era uno straccio, era sempre sulla sedia a rotelle, mangiava tutto frullato e si sentiva solo in quella casa di riposo. Ma la nonna andava ogni giorno a trovarlo e ci litigava, così giusto per farlo sentire a casa secondo me. Era il 2017.

È stato lì che io e mia sorella abbiamo cercato di fare una follia. Volevamo tirarlo in piedi, vederlo camminare di nuovo. Organizzammo una corsa di beneficienza. Gli demmo il suo nome. Tutti gli amici di una vita parteciparono. I suoi e i nostri.

Quella corsa aprì il cuore di molti, il mio in particolare. Io che sono una persona fredda e distaccata quel giorno mi sono sentita a casa in mezzo a un sacco di sconosciuti. E lui la vide; ne fu felicissimo. Quella settimana lui camminò di nuovo.

Purtroppo, quei passi furono solo la calma prima della tempesta.

Mi manca, è innegabile ma lo ricordo col sorriso e col grande cuore che spero di aver ereditato. Avrebbe compiuto 74 anni oggi, ma, forse per fortuna, ora corre senza cadere. Ora viaggia senza accompagnamento e disegna senza tremare. Ora sta meglio.

Ciao zio, buona corsa. Ora e sempre.
Marika

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