Giulio Maldacea We Are Parky Parkinson

Giulio Maldacea: “Per reagire a volte bisogna toccare il fondo”

Il presidente dell’associazione We Are Parky, Giulio Maldacea, ci racconta la sua storia. Una storia particolare ma con molti punti in comune a quella di tanti “parky”, i malati di Parkinson.

(fotografia di: Danilo Alaimo)

Ringraziamo Giulio Maldacea che ci ha concesso questa intervista. È molto interessante non solo per la sua storia ma anche per i temi importanti che tocca. Come, ad esempio, l’associazionismo.

Quando hai saputo che avevi la malattia di Parkinson?

Nel 2008 feci un intervento alla schiena per ridurre una spondilolistesi (spostamento di una vertebra, ndr) causata da anni di sport estremi e gare di fuoristrada.

Mi addormentai “normale” e mi svegliai con i sintomi di un Parkinson avanzato. Tremavo forte, balbettavo, non avevo voce, tutta la parte destra era rigida e rallentata, camminavo malissimo e cadevo in continuazione.

Dopo circa otto mesi di girovagare tra neurochirurghi e neurologi incontrai per caso un medico in pensione. Solo vedendomi camminare mi chiese: “Come va con il Parkinson?”.

Feci la scintigrafia con tracciante e l’esito fu compatibile con la diagnosi “ad occhio”: era Parkinson.

Rivedendo dei video di vacanze di anni precedenti, in effetti si poteva notare un movimento oscillatorio delle braccia non allineato.

Ero un imprenditore di successo, avevo un elevato tenore di vita, amavo i viaggi avventura e dedicavo il tempo libero anche ad attività di cooperazione internazionale.

Cosa è cambiato nell’immediato, dopo la diagnosi?

Dal 2008 al 2015 sono stato seguito da diversi neurologi. Non si riusciva a trovare una terapia stabile.

Scoprirò poi nel 2015 che i danni alla mia spina dorsale si sovrapponevano al Parkinson anche a livello di farmaci. E i sintomi si influenzavano reciprocamente.

Ho provato praticamente tutti i farmaci disponibili. Nel 2012 e 2013 trovai un illusorio giovamento con un cocktail dai dosaggi industriali di levodopa + dopaminoagonisti. Ma mi hanno comportato alterazioni del carattere, allucinazioni e fenomeni di punding*. In un anno ho smontato e rimontato oltre 400 biciclette !!!).

*Il “punding” è un comportamento compulsivo caratterizzato da una forte attrazione per i compiti ripetitivi, meccanici, come ad es. montare e smontare elettrodomestici o altri apparecchi.

 

Come hai reagito?

Per reagire a volte bisogna toccare il fondo. Agli inizi del 2015 ero totalmente dipendente dai farmaci. Anche solo diminuendo leggermente le dosi mi ritrovavo in carrozzina quasi incapace di parlare.

L’équipe presso cui ero in cura alzò le braccia non dandomi altre soluzioni e speranze.

Già da un anno avevo smesso di lavorare e dedicato la mia vita a informarmi e studiare la patologia. Ero convinto che il mio problema fosse la sovrapposizione delle patologie.

Su Facebook conobbi una signora con Parkinson che aveva fatto la DBS presso il NEUROMED di Pozzilli la quale mi mise in contatto con il Dott. Modugno. Feci la visita con lui ed esposi la mia tesi: mi disse che in effetti era possibile.

Mi fece ricoverare per accertamenti approfonditi dove furono indagati ex novo tutti gli ambiti, sia a livello neurologico che neurochirurgico. Dopo un lungo briefing con le varie professionalità coinvolte decidemmo di procedere per passi.

Sospesi completamente tutti i farmaci rimanendo ricoverato. Operammo la schiena in modo definitivo, stabilizzando da L4 a S1 la colonna vertebrale. Persi un minimo di mobilità articolare ma già al risveglio dall’anestesia sentii che il tremore e la rigidità erano migliorati.

Dopo quattro giorni mi alzai in piedi e, con tutti i dolori dell’operazione appena subita, camminavo molto meglio di prima.

Oltretutto non avevo ancora ricominciato la terapia per il Parkinson. Progressivamente cominciai una nuova terapia, molto più semplice delle precedenti, e con dosaggi ridotti. Dopo circa un mese tornai a casa con una sintomatologia tornata a 2/5 rispetto al 4/5 con cui ero entrato in ospedale.

Parlaci dell’associazione We Are Parky, di cui tu, Giulio Maldacea, sei presidente e fondatore.

Dal 2014 avevo avviato un gruppo di aiuto su Facebook. Volevo reimpiegare quanto avevo imparato come imprenditore nell’ambito dell’associazionismo, lavorando in particolare sulla soluzione di problemi pratici.

Ben presto ci rendemmo conto che il problema principale era l’informazione. La maggior parte dei “parky” e dei caregiver non ha le informazioni di base necessarie a gestire correttamente la patologia e la terapia.

Nel 2015 costituii con alcuni amici l’Associazione We Are Parky e abbiamo lavorato da subito su numerose campagne. L’obiettivo era quello di spiegare, con un linguaggio universale, tutto ciò che potesse essere utile per migliorare la qualità della vita di “parky” e caregiver.

Teniamo alla nostra indipendenza come associazione di pazienti e a volte probabilmente usiamo un linguaggio troppo diretto. Ma… qui dentro ci stiamo noi e i nostri amici ci apprezzano anche per questo!

In tale ottica abbiamo realizzato anche il Manifesto del Parkinson. In pratica, abbiamo chiesto ai “parky” di descrivere la loro patologia, il risultato finale credo sia estremamente interessante. Lo trovate qui: (https://weareparky.wordpress.com/2017/02/14/il-manifesto-del-parkinson/).

Abbiamo condotto ricerche come pazienti attivi, cito ad esempio quella sulla integrazione di vitamina B1 che è stata diffusa anche all’estero. Tutti i nostri articoli sono basati su informazioni controllate e verificate anche direttamente e in collaborazione con medici specialisti e ricercatori, sia nazionali che di respiro internazionale.

Poche settimane fa, sei andato a parlare con le Istituzioni, con alcuni ministeri addirittura…

Siamo convinti che la condivisione sia l’unica chiave per portare avanti le nostre battaglie per il riconoscimento dei nostri diritti.

Ogni qualvolta ci capita un caso specifico che pensiamo possa diventare una “testa di ponte” facciamo in modo che le attività non siano mirate semplicemente al problema contestuale, ma questo diventi un pretesto per portare avanti le esigenze collettive della comunità parkinsoniana.

Così è stato per esempio con la vitamina B1, che citavo prima. Altre campagne molto importanti sono state, ad esempio, quella per i parcheggi a Salerno o quella per il recupero dei farmaci di difficile reperimento.

Ultima, la campagna per far riassumere Franco Minutiello, un parkinsoniano di Torino ingiustamente licenziato a causa della patologia.

E proprio la campagna #noisiamofranco ci ha consentito di entrare in contatto con il Ministro Costa. Il ministro ci ha ricevuto a Roma e noi abbiamo chiesto un tavolo tecnico trasversale a diversi ministeri, per affrontare le nostre problematiche.

Cosa succederà ora?

Abbiamo promosso un Comitato Nazionale Parkinson cercando di coinvolgere le altre associazioni: Parkinson Italia, AIP e AIGP. Abbiamo già fatto due incontri di coordinamento ed emesso un comunicato stampa. Insieme dovremmo partecipare come Comitato di rappresentanza dei parkinsoniani italiani alla riunione che abbiamo chiesto.

Tu sei presidente di un’associazione che si occupa di “persone con Parkinson”, cosa ne pensi dell’associazionismo?

Secondo me le associazioni devono abbandonare l’ambito “iperlocale” e devono pensarsi come parti di una rete coordinata e ramificata sul territorio.

Una rete che svolga compiti non solo di informazione ma, in sintonia con il SSN, anche attività concrete. Il SSN, infatti, potrebbe delegare compiti che attualmente non svolge e che richiedono sensibilità che solo le Associazioni possono avere.

Mi riferisco ad esempio al fornire informazioni e supporto umano al momento della comunicazione della diagnosi.

A oggi abbiamo censito oltre 80 associazioni, tra indipendenti e affiliate, con una copertura dichiarata di circa 30.000 pazienti. Ammesso che il dato sia reale (e ne dubito) siamo al 10% della rappresentanza.

È evidente che c’è un grosso problema di coordinamento e di rappresentatività.

Speriamo che anche grazie al neonato Comitato si creino condizioni ottimali per una crescita della rete. Anche se avverto fortissime resistenze che credo saranno molto dure da ammorbidire.

Cosa direbbe Giulio Maldacea a un giovane che riceve oggi una diagnosi di Parkinson, che non sa nulla, non sa dove rivolgersi, da chi farsi aiutare…?

Gli direi di leggere il mio post scritto il 13 gennaio di quest’anno che è stato tradotto in inglese e spagnolo e letto, a oggi, da oltre 25.000 persone. L’ho scritto quando capii, dopo oltre 10 anni di Parkinson, che la mia “luna di miele” era finita. Eccolo:

“Non voglio che passiate per il mio inferno, per questo nel 2015 ho costituito l’Associazione WeAreParky ONLUS”

In questi 10 anni di malattia ho fatto delle esperienze, mi sono informato, ho studiato, ho imparato a selezionare le risorse sulla mia pelle. Ho cercato di mettere a sistema la mia esperienza e quella di tanti altri amici parky creando informazione.

Con l’aiuto di persone fantastiche abbiamo condotto ricerche e battaglie. Tutto sempre gratuitamente, non abbiamo mai chiesto neanche una quota associativa. Perché l’informazione per vivere meglio non può avere un costo.

Non aspettatevi che in ospedale vi offrano conoscenza durante la visita tipica di 20/30 minuti, la cosiddetta “sveltina neurologica”.

Pretendete visite che siano approfondite, complete, fatele insieme al vostro neurologo e al suo staff. Non “appaltate” a dottorini e apprendisti: se non è possibile cambiate neurologo, cambiate centro.

L’informazione vi salverà e vi permetterà di condurre una vita assolutamente dignitosa… (segue su: https://www.facebook.com/giulio.maldacea/posts/10211251664027990)

Tutto questo e molte altre cose sono nel sito di We Are Parky, nel gruppo Facebook riservato ai “parky”, nella pagina pubblica Weareparky.
I
scrivetevi, leggeteli, condivideteli, integrateli, correggeteli. Insomma fateli vivere!

Giulio Maldacea

 

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