
Storie di Parkinson – La solitudine del caregiver
«Che devo fare con mio marito? Lo devo abbandonare? Lo devo gettare nella spazzatura come un rifiuto che nessuno vuole? Che devo fare di quest’uomo che soffre e nessuno aiuta?»
Storie di Parkinson – Articolo liberamente tratto da CERTASTAMPA del 7 febbraio 2018.
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Un grido d’aiuto
È un grido di dolore terribile, non urlato, ma scandito con la voce di chi sente di non avere altra risorsa se non quella di chiedere aiuto pubblicamente. Vincendo antichi riserbi e una tradizione di vita costruita facendo sempre tutto da soli.
Siamo ad Alba Adriatica (Teramo) e quella che chiede aiuto è una donna stanca. Da più di un anno combatte da sola contro una malattia terribile, il Parkinson che ha colpito il marito. E non solo.
«Mio marito ha fatto lo chef per tutta la vita, era bravissimo e apprezzato, lavorava continuamente» racconta.
«Quello dello chef è un lavoro molto duro, poi, all’improvviso, una bruttissima depressione».
Una storia purtroppo molto comune
Perché, all’improvviso, tutto cambia. Quell’uomo gioviale e gentile si chiude, si ripiega sulla sua sofferenza, mentre il mondo tutt’intorno crolla.
Niente lavoro, giornate intere a casa. Poi il Comune che lo chiama a fare l’operatore ecologico e qualcosa sembra cambiare, ma è un’illusione, perché la malattia pretende il suo spazio. Non può più lavorare e, in pochi mesi, fa anche fatica a muoversi.
Questa è una delle più emblematiche Storie di Parkinson, nella quale moltissimi caregiver (soprattutto donne) si possono riconoscere.
Di lì alle giornate vissute tra un letto e una sedia a rotelle, con quelle mani che non vogliono saperne di star ferme, non ci vuole molto. Sofferenza chiama sofferenza, fino a quel maledetto 12 settembre del 2016.
La caduta e la frattura del femore
«È caduto e si è rotto un femore – racconta la moglie – ma non era solo una rottura, era l’inizio del calvario». Subito è ricoverato all’ospedale di Sant’Omero, dove viene operato. Poi, dopo 17 giorni di ricovero, il trasferimento a Villa Serena, per le terapie.
Quaranta giorni di fisioterapia, resi ancora più difficili e dolorosi da quella malattia che si fa sempre più presente. E quaranta giorni non bastano, così viene trasferito a Sant’Agnese, per altri 29 giorni. Poi, finalmente può tornare a casa.
«Quando ha lasciato l’ospedale, la dottoressa si è raccomandata di continuare le terapie, perché mio marito ha bisogno di terapie costanti» racconta ancora la moglie.
Il calvario è solo iniziato
Ma è solo l’inizio di un altro calvario. «Sono andata alla Asl, a Sant’Omero, dove mi hanno dato gli indirizzi di tre centri: uno a San Nicolò, uno a Montorio e uno in Val Vibrata. Ma nessuno aveva posto, mi dicevano di riprovare e riprovare…» spiega la donna.
«Intanto, il tempo passava e nessuno faceva niente per mio marito, ho chiesto anche aiuto all’Adi, l’assistenza domiciliare della Asl. Ma mi hanno detto che se non ha le piaghe non vengono. E quelli del Santo Stefano non fanno servizi a casa… sono disperata!» conclude.
Sono passati più di 16 mesi da quella caduta. Ad Alba Adriatica c’è un uomo che soffre e una donna vinta da quella sofferenza.
Storie di Parkinson, storie che nessuno racconta
Questa è solo una delle Storie di Parkinson che raccontiamo. Ognuna è diversa ma hanno molti punti in comune. La solitudine del caregiver abbandonato delle istituzioni è uno di questi.
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Mio marito si è ammalato di Parkinson a 40 anni e insieme abbiamo combattuto per 36 anni .potrei scrivere un libro sull’evoluzione di questa malattia e sulle sue complicazioni.E’ veramente molto ma molto duro stare accanto a questo malati: non hai l’aiuto di nessuno, anche gli amici ma mano che la malattia progredisce spariscono e tu sei sola.i miei figlio hanno aiutata e la mia professione mi è stata d’aiuto (Sono un’infermiera).Ora che mio marito non c’è più cerca di aiutare i malati di Parkinson e le loro famiglia con la mia esperienza
Cara Maria Rita, grazie della tua testimonianza.
Ciao sono Katia e ho il Parkinson da tre anni
Posso solo dire che è assai complicato
Condividere la malattia con chi convive con te
Perché delle volte non ti senti
Compreso e ti senti solo.